
Negli ultimi tempi tendo a definirmi come:
Una lavagna bianca pronta ad essere scritta/colorata/pasticciata.
Ora.
La lavagna è fatta di grafite: nera.
E questa è la figura n. 1
Mi piace usare questa metafora quando mi rivolgo a nuovi (potenziali) collaboratori.
Mi piace definirmi così perché voglio dare l’impressione di essere veramente un telo bianco con molte funzioni e poche nozioni, non tanto perché non mi piaccia studiare, quanto perché se devo scegliere, preferisco partire da circa meno quasi zero e costruire, ogni volta.
Qualche sera fa stavo parlando con un mio amico.
Dopo qualche birra, io non guidavo.
E sì, ho iniziato a bere birra come se non ci fosse un domani, ma il domani arriva e lì sono problemi, ma arriva “domani”, quindi non pensiamoci oggi, no?
Dicevo.
Con il classico approccio da uomo mi ha detto:
“Cazzo però – rafforzativo per la minchiata successiva -, la lavagna è di grafite nera o grigio scuro, dipende dal riflesso del sole…
(E io già qui mi ero persa)
Definirti una lavagna bianca, su cui scrivere la qualunque.
Marta! Anche no.”
Anche no perché:
– Per il mio amico è come fare un chiaro riferimento sessuale, e se davanti a te hai una persona un po’ così gli parte il trip.
- Non sei una lavagna bianca, perché la lavagna è per forza di cose NERA, dove sei andata a scuola?!?
Ecco.
Ciò pensato, LUI HA PERFETTAMENTE ragione.
(Se stai leggendo stampa questo stralcio e attaccalo sui muri – se permesso, chiaro! – perché sai che non lo ripeterò MAI!)
E niente.
Nel pieno rispetto delle mie facoltà mentali ho deciso di definirmi una lavagna bianca (pronta da scrivere) anche oggi.
A me piace così.
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