Entusiasmo a portata di mano

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Hai presente quelle giornate grigie, che si presentano uguali a tante altre senza nemmeno uno stimolo per sorridere?
Ecco, oggi è così.

Scegli di entrare nel blog, porto sicuro di tante giornate “no”.
Scorri il lettore, leggi qualcosa.

Alcune cose t’incuriosiscono, altre meno.
Passi oltre, vai avanti.

Lo sai, prima o poi arriverai ad un post che ti strapperà un sorriso, è un’azione consolidata, è un déjà-vu ricorrente, è una necessità pe svoltare la giornata.

Ecco.

Lo sapevo che non avrei sbagliato!

Pikaciccio una garanzia!

Cintura

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Bando alle ciance ed evitiamo richiami storici ad una qualsivoglia canzone spagnola estiva, mi riferisco al titolo.

Suvvia.

Qualche giorno fa, in macchina, ho visto un posto di blocco.
Nessun allarmismo, ho ancora la patente, tutti i punti e il conto in banca salvo.

Ma.

Mi sono fermata (per modo di dire, eh!) ad osservare le macchine che procedevano in senso contrario, quelle che andavano verso il posto di blocco.

Ecco.
Uno su tre non aveva la cintura di sicurezza. Tralascio se sia sicura davvero sempre e comunque.

Ma.
Com’è che tante macchine di oggi vengono vendute con questo marchingegno con una simpaticissima musichetta e tu, anzi voi, vi ostinate a non metterla?!?

Tralasciamo i punti, si possono recuperare.

Tralasciamo i soldi, ne buttiamo tanti anche per motivi più futili.

Ma.
Perché rischiare la vita, che no, non si recupera per una banalità simile?

Tutto tua madre

Dal dentista, guardo lo schermo e osservo il video che scorre.

Non sento la musica, perché boh. Puoi solo guardare… Forse il dentista, subdolo, preferisce farti ascoltare il dolce ronzio del trapano che ti martella come l’ansia. Non so.

Ho le cuffiette con me.

Capisco di che video si tratta e come nelle occasioni migliori di streaming vedo e poi sento.

Ecco.

Forse è meglio così, riesco a leggere il testo, dal telefono, quando le immagini sul video oramai sono andate oltre.

Ma che bella è questa canzone? È un inno spettacolare alla vita.

E poi penso che se il figlio di Jax ha un papà cantate che gli ha dedicato una canzone, io non ho niente di cui lamentarmi.

Il mio papà è un pasticciere e mi ha dedicato una torta.

Eh niente. Grazie papà.

Metafora: come evitare becere figure

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Negli ultimi tempi tendo a definirmi come:

Una lavagna bianca pronta ad essere scritta/colorata/pasticciata.

Ora.

La lavagna è fatta di grafite: nera.
E questa è la figura n. 1

Mi piace usare questa metafora quando mi rivolgo a nuovi (potenziali) collaboratori.
Mi piace definirmi così perché voglio dare l’impressione di essere veramente un telo bianco con molte funzioni e poche nozioni, non tanto perché non mi piaccia studiare, quanto perché se devo scegliere, preferisco partire da circa meno quasi zero e costruire, ogni volta.

Qualche sera fa stavo parlando con un mio amico.

Dopo qualche birra, io non guidavo.
E sì, ho iniziato a bere birra come se non ci fosse un domani, ma il domani arriva e lì sono problemi, ma arriva “domani”, quindi non pensiamoci oggi, no?

Dicevo.

Con il classico approccio da uomo mi ha detto:
“Cazzo però – rafforzativo per la minchiata successiva -, la lavagna è di grafite nera o grigio scuro, dipende dal riflesso del sole…

(E io già qui mi ero persa)

Definirti una lavagna bianca, su cui scrivere la qualunque.
Marta! Anche no.”

Anche no perché:
– Per il mio amico è come fare un chiaro riferimento sessuale, e se davanti a te hai una persona un po’ così gli parte il trip.

  • Non sei una lavagna bianca, perché la lavagna è per forza di cose NERA, dove sei andata a scuola?!?

Ecco.

Ciò pensato, LUI HA PERFETTAMENTE ragione.

(Se stai leggendo stampa questo stralcio e attaccalo sui muri – se permesso, chiaro! – perché sai che non lo ripeterò MAI!)

E niente.
Nel pieno rispetto delle mie facoltà mentali ho deciso di definirmi una lavagna bianca (pronta da scrivere) anche oggi.

A me piace così.

 

 

SEMPRE DETTO

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Quando mi viene un’idea sarebbe buona cosa annotarla subito.

Possibilmente su di un pezzo di carta che non perdo nell’immediato, o almeno che resti con me quel tanto che basta.

Sono un disastro.
Mangio tanto pesce, non serve a niente. Forza vegani inveite contro di me e incolpate il Karma, no perché a Mantra sono messa piuttosto bene.

Era qualcosa che riguardava il Less is more.

Dovevo, o meglio volevo, anzi no.
Voglio fare qualcosa.

Non per il fatto della memoria, quella è andata, per il fatto del less is more.
Vorrei che il mio cervello facesse un attimo pace con il mio subconscio.
(‘na cosa interna, lascia stare).

Ho il mio taccuino, libretto magico pieno di annotazioni.
Ho imparato a portarlo con me, ennniennnte adesso devo imparare a portare con me anche una penna.

É importante.

Perché non uso il blocco note del telefono?
Perché fabbrutto (direbbe il milanese imbruttito – e non).
Non c’è un motivo, ma il blocco note l’ho sempre usato per annotazioni più impegnative, insomma, per pensieri complessi.

Che poi.

“Complessi” detti da me è un po’ una presa in giro.

Comunque.
Adesso m’impegno ci penso.
E ci ripenso.

Prima o poi, quando avrò smesso di pensarci mi tornerà in mente.
Così a casaccio!