Teresa Papavero e la maledizione di Strangolagalli

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Lei è Teresa Papavero.
Esile donna, sicura all’apparenza, direttamente dipendente dall’enorme prestigio del padre nell’inconscio.

Anche io sono un po’ come Teresa Papavero.
Questo è l’ultimo libro che ho letto.
Ancora una volta mi sono immedesimata nella protagonista traslando le sue avventure e peripezie in quella che è la mia vita attuale.

Zitella, piena di aspettative che vengono disilluse ad ogni esperienza, Teresa Papavero sceglie di tornare al paese d’origine che dista anni luce dai suoi continui fallimenti amorosi e lavorativi.
Ecco che una serie di circostanze la mettono a diretto confronto con il suo passato, perché certe situazioni prima o poi si devono chiudere, possono passare anni – venti in questo caso – ma la parola fine prima o poi si deve pronunciare.
La vicenda corre veloce, il flusso di parole ti cattura e ti permette di immergerti pienamente nella storia: TU, spettatore consapevole.
Ironico, avvincente, divertente e profondo. Se devo definire con un aggettivo questo romanzo direi che è IRADIPRO – Anche io sono fantasiosa, oggi sono in vena di acronimi! -.

Mi sento davanti ad un bivio.
Sono felice.
Stano, eh? Non è da me sbandierare ai quattro venti la mia felicità e il mio entusiasmo ingovernabile.

“Raccontaci qualcosa di te.”

Sono ancora ferma a questa domanda che in un venerdì mattina un po’ speciale, mi è stata posta.
Cosa racconto? Le mie frustrazioni? La mia gioia di vivere?

E se.
E se.
E se.

Perché in quei momenti lì, tutti i cassetti della tua mente si aprono contemporaneamente senza permetterti di ripristinare l’ordine.

E poi a me.
Io, che faccio collegamenti mentali che pochi altri come me.
Che fatico a tenere a mente i titoli dei libri che leggo, ma che ricordo perfettamente una parola, una frase, la morale.
Pensa che, talmente era tanta la polvere sollevata da alcuni cassetti relegati nell’archivio che mi sono dimenticata un titolo importante. O meglio, il mio titolo. Roba da matti, eh?
Eppure è andata così.

Ecco.

“Raccontami qualcosa di te”

Sono felice, entusiasta e piena di aspettative.
Non vedo l’ora di essere messa alla prova perché è lì che posso dimostrare se ho del potenziale.

Insomma.
Per essere breve, io voglio diventare una copywriter con le contro ovaie.

Insomma.
Per essere brevissima, io, aspirante copywriter penso che le parole stanno a zero se non sono supportate dai fatti.
La frase è una citazione, di un libro.
Vi prego, non chiedetemi il titolo, ma fidatevi sulla parola!

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STANCA

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La stanchezza inizia a farsi sentire.

L’attesa delle vacanze si sta (non troppo) lentamente insinuando nella mia mente, che poi, per farmi apparire una persona bizzarra ci vuole poco.

Spesso, m’imbatto in errori ortografici da pelle d’oca, e no, non perché stiano suscitando emozioni primordiali, ma tutta un’altra cosa , che no, non intendo scrivere, sono tornata da poco e non voglio sparire nuovamente.

Ma, dicevo.

Sono stanca del lavoro, dell’ufficio e di tutto ciò che ruota attorno.

Clienti, fatture e scocciature.

Ecco che a tre giorni dalle ferie arrivano quelli che sentono la mancanza del commercialista e s’inventano “cazzi e mazzi”.

Sono i peggiori, credetemi.

Non li vedi tutto l’anno e appaiono come d’incanto a pochi giorni dalla chiusura.
Che poi, chiedessero qualcosa di fattibile, nessun problema.

Il fatto è che vogliono il mare e hanno paura dell’acqua.
Insomma, le metafore non m’abbandona.

Rispondo via mail.

Faccio un errore ortografico, IMPORTANTE, io, che sono la prima rompiscatole su queste cose, il cliente me lo fa notare scrivendo una vera e propria minchiata, detta così, senza peli sulla lingua.

Io sono stanca, tu no, sei appena tornato dalle ferie.

Ma non ci faccio caso, guardo e passo, ignoro.
Lui sottolinea e me lo fa notare, mi deride, ecco che la scimmia si sveglia:

“Hai ragione, ho sbagliato, sento l’avvicinarsi delle ferie.
Ma sbaglio o anche tu hai sbagliato il condizionale?
Comunque non c’è problema ho perfettamente capito la tua domanda.
Ah! Ne riparliamo dopo le nostre ferie…Ci risentiamo a settembre.
Sì. lo so che tu le hai già fatte e sei bello fresco.”

Con la mia solita nonchalance riattacco.

Ti ho dato del pirla ma ci vorranno ancora dieci minuti buoni prima che tu capisca cosa volevo realmente dire.

Ah! Buon Lavoro, a chi come me staccherà tra qualche giorno!

PAROLE

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Le parole hanno un significato.
E fin qui, nulla di strano.

Le parole a volte suonano in maniera particolare.
E anche fin qui, non dovrebbero esserci problemi seri, impegnativi, complicati.

Io a volte vado a cercare come si pronuncia una parola solo per vedere come caspita si mette la Tilde.

Che per chi non lo sa Tilde è il nome proprio di accento.
Non è vero, ho detto una cazzata, non è il nome proprio, ma a me piace pensarla così, il blog è mio e quindi decido io, chiaro no? Per buona pace della democrazia, sia chiaro!

Comunque, dicevo.

Spesso mi capita di fare questa cosa e soprattutto nell’ultimo periodo, con la stanchezza che avanza, la voglia di evadere che galoppa, la voglia di sfanculare destra e manca.

Praticamente mi succede questo:
Qualcuno mi fa un’osservazione, che è definita tale e non è gradita, e io mi perdo a pensare a come dev’essere messo l’accento, se ci va, dove si mette e perché non si usa più.

Insomma.

Io evado con la mente.

Il risultato è che in fase di domanda io risponda con una scena muta, che la persona che ho di fronte si convinca che io sia remissiva, che mi dispiace, che non lo farò più.

In realtà non so cosa rispondere perché mi sono persa alla prima parola, il primo accento.

Insomma.

Quante volte ci convinciamo che una cosa sia esattamente così e rafforziamo la nostra idea con le reazioni?
In realtà dovremmo imparare a analizzare la situazione da tutti i punti di vista.

Ecco.

Giustappunto. (Mi piace da matti questa parola!)

Atono. Come si scrive? Con Tilde? O senza?

 

LA PRIMA VOLTA CHE

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Ho capito che la vita è un continuo susseguirsi di prime volte.

L’ho scritto anche agli amici di Creandoutopie.

Mi sono accorta che una prima volta dietro l’altra, sto imparando a stare al mondo.

Ecco che qualche settimana fa stavo leggendo un libro, mancava poco al finale, ma non potevo per ragioni di tempo soffermarmi e godermi quel momento in cui (speravo!!!) tutto cambia.

Sono rimasta tutto il giorno con quel pensiero. Fino a quando ho aperto il mio profilo Instagram e ho scritto a Lei, l’autrice.

Cara Anna Premoli,

sappi che io ti detesto, (per adesso).

Non sono un’hater, non scrivo per insultarti o farti perdere punti in autostima, niente di tutto questo, non mi celo dietro un finto nick.

Mi presento:
Marta Vitali, bergamasca doc.

Sono a -36 minuti di “Non ho tempo per amarti”, capitolo 17 per essere precisi.

Da lettrice compulsiva quale mi definisco, ho scelto questo libro pensando “è una lettura leggera, sicuramente mi fa passare il timore delle Mercedes” (il libro precedente era Mr. Mercedes di S. King).

Premetto che soffro di lacrima facile, è una patologia comune ma incurabile.

Sono arrivata alla fine del 16 capitolo con una lacrima grande come un appartamento (di Terrence),ehhniente! Io mi chiedo come diavolo ti vengono in mente queste storie.

Io da fan sfegatata della TUA “Laurel” speravo che almeno Julie non fosse così, e invece niente.

Figlie di una generazione in cui il “potere alla donna” ci ha fatto perdere quintali di sali minerali (trasformati in pianti a dirotto) ti chiedo, ma perché?!?

E poi niente, aspetto con ansia il mio momento relax per vedere come si comporta questa stordita, che ha troppo in comune con me, e spero che il ragazzino di turno perdoni la decisione scellerata!

Spero.

Perché io da quasi trentacinquenne mi rendo conto che sto per arrivare a pronunciare la frase “oggi faccio un giro al gattile…” Ecco. Ho detto tutto.

Comunque sarà anche solo un libro, ma TU riesci ad arrivare alle persone.

Voleva essere un complimento ( non so se si è capito).

Ciao Anna Premoli,

con affetto una tua lettrice (compulsiva), Marta Vitali.

Ah! Pubblicherò questa lettera aperta sul mio blog

A SCUOLA

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BROTAR.

La parola della settimana è Brotar. Significa sbocciare.

Siamo in Primavera e come potevamo esimerci dal hablar di qualsiasi cosa non sbocci?

Suvvia. É cosa nota che in Primavera le piante diventano tutte belle colorate con tanti fiorellini di lillà, che il sole splenda alto in cielo, che il cielo sia azzurro.

Mi sono lasciata prendere.

Ho scoperto che anche se una parola non suona in maniera dolce può significare un qualcosa che innesca pensieri positivi.

Ecco.

Smettiamola con questo pregiudizio che se una parola ha un suono “duro” allora ha un significato negativo.

Basta.

I miei fiori stanno per brotar. E io ne sono super orgogliosa. Che poi, il plurale è esagerato.

Io ho una rosa gialla, che fa un fiore l’anno, che curo con una parsimonia maniacale, che tanto non cresce neanche se la drogo, però va bene così.
Mi hanno insegnato che meglio poco che niente. E io mi accontento, non è che abbia altre alternative.

Insomma.

Quando starà per brotar lo potrò gridare a gran voce. Tanto ormai lo posso dire anche in spagnolo, chi mi può fermare?!?