FALTA ALGO?

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É l’imprinting che manca.
Forse è solo ed esclusivamente questione di “manca la base”.

Forse no.

Qualche giorno fa, durante una delle mie passeggiate obbligatorie, ho involontariamente ascoltato una discussione tra due ragazze che felici e beate s’apprestavano a “far prendere un raggio di sole” ai pargoletti.

Ora.

Non è che mi sia ben chiaro come facessero a far prendere il sole a queste povere anime considerando che siamo a Gennaio, da me si sfiorano i dieci gradi e avevano più tessuto addosso loro che un bambino del Canada ciaone proprio.

Comunque.

La cosa che m’ha lasciato perplessa, ciò che mi ha fatto realizzare che “Cazzo, sono senza speranze!” è stata la frase pronunciata da una delle due.

“Il mio compagno non ha voluto tagliare il cordone ombelicale, non l’ha neanche toccato.”

Così dal nulla. Fino ad un attimo prima dicevano “Quant’è bella questa giornata…Abbiamo proprio fatto bene ad uscire…”

E niente.

Io schifata, fingo non curanza, ignoro le giovani madri e dentro di me penso.

“Ma com’è che l’idea di avere un figlio, un compagno, un… insomma una famiglia, non mi passi neanche per l’anticamera del cervello?”

Forse mi manca l’ imprintig. Insomma. Quando lo stavano distribuendo salcazzo dov’ero, persa. Come sempre del resto.

E niente.

Io penso al mio futuro, a come incrementare questo sogno della scrittura, ma di farmi una famiglia proprio zero.

Sarò mica sbagliata?!?

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SCUOLA

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Non è che abbia mai provato profonda gioia per l’inizio della scuola.

Non ero felice quando ero una studentessa, quando in questi ultimi giorni speravo in un blocco temporale per poter finire tutti i compiti delle vacanze, perché si sa, si fanno gli ultimi giorni, quando non ricordi niente, quando sei in panico da rientro, quando sotto il naso hai l’odore della sabbia del mare e sotto gli occhi le analisi grammaticali con annessi esercizi.

Questa fase dell’anno non mi è mai piaciuta.

Certo, adesso lavoro, ed il problema non c’è, anzi non dovrebbe esserci.

Manca poco a quel periodo dell’anno in cui mentre vado in ufficio la mattina incontro essere diversi ma apatici, tutti uguali.

Madri isteriche che scaricano pargoli dalle macchine parcheggiate per modo di dire in seconda terza quarta fila, ed io devo passare, ma aspetto, non perché presa da un moto nostalgico, l’unico moto è quello omicida, dato che sono impossibilitata nel passaggio, a meno che non mi attrezzi con una macchina simil Ispettore Gadget.

Ecco.

Spesso si dice che le cose ritornano, che fanno un giro (ad cazzum aggiungo io) ma poi, come se fosse un cerchio tornano alla base.

Bene.

A breve ricomincerò ad arrivare in ufficio con il nervo scoperto, con  una disavventura in più da narrare e con un pezzo di fegato in meno, tanto quello ricresce.

Wow, non vedo l’ora, impaziente come poche attendo di trovare tutto il parcheggio occupato, sata-nani urlanti, disperati e con il moccolo al naso disperatamente ancorati alla madre snaturata di turno che osa abbandonarli in quella struttura chiamata scuola, eh già, perché poi ci sono le nonne, quelle che per le madri sono suocere quelle che guardando in cagnesco la mamma accolgono i piccoli a braccia aperte, riportandoli al nido, e loro sì che diventano eroine agli occhi dei piccoli, loro sì che permetteranno alle nuove generazioni di crescere acculturati, intelligenti e sapienti.

Non ce la posso fare.

Già m’immagino le sedute di yoga immaginario che dovrò fare per evitare d’inveire contro una qualsiasi mamma nonna per una qualsiasi cosa che vista dal mio punto di vista è sbagliata, già lo so.

Non mi resta che spolverare il mio cassetto mentale ed attivare la modalità “meditazione ON”, solo così potrò salvarmi.

QUANDO ERO PICCOLA…

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  • Mamma! Adesso basta botte! Perché altrimenti chiamo il Telefono Azzurro? Ok?
  • Inizia a fare il numero e se non riesci dimmelo che te lo faccio io…

Ecco.

Ora non chiedetevi perché io ho sempre la risposta pronta, o meglio, nel novanta percento virgola uno dei casi è la battuta pronta.

Io sono cresciuta così.

A domanda segue risposta, a parolaccia seguiva schiaffo, di rovescio dritto sui denti, che solo a ripensarci risenti il dolore.

Poi c’erano le ciabattate, ma no, io di quelle non ne ho mai prese tante, ero fortunata, o meglio, mia madre preferiva le scarpe.

Avevo la balia. Ecco. Ripensare alle marachelle mi fa tornare alla memoria la bacchetta delle rose, che poi è strana la mente, eh?!?

Oggi, che sono diventata grande io adoro le rose, o meglio, mi piace un sacco spuntarle e vederle rinascere, quando ero piccola, no, odiavo la bacchetta delle rose, quante volte che l’ho vista avvicinarsi in maniera troppo rapida alle mie piccole mani non esattamente innocenti, e… Non esisteva dirlo alla mamma, perché altrimenti arrivava il malrovescio dritto sui denti di poco fa.

Ebbene si.

Sono diventata grande lo stesso.

Anzi! Credo che queste sfuriate siano state utili alla mia crescita, credo che con me il telefono azzurro avrebbe chiuso i battenti per insufficienza di prove.

Oggi sono diventata grande, d’età s’intende, l’altezza quella è cresciuta poco, ma succede.

Oggi, posso dire di essere stata educata bene da bambina.

Oggi io sono quella che entra nel negozio e dice buongiorno, che ringrazia e che… Ha sempre la battuta pronta.
Anzi, non sempre. L’ultima volta che mi sono permessa di rispondere male a mia madre la sua reazione ha lasciato strascichi.

Perché lei è così, non ti minaccia, ti fa promesse.

Disse: “Marta, ti spacco il cranio” Avevo fatto una cazzata, l’ultima di una serie, insomma the last but not the latest, ancora oggi lei me lo ricorda.
No, non ho più fatto la stessa cazzata, nel frattempo ne ho fatto altre…
Perché in fondo si sa… Le promesse ti insegnano da piccoli a mantenerle.

 

 

FACCENDE DA BAMBINI

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pixabay

Leggendo un post di un altro blogger mi sono accorta che sì! Da bambini ci divertivamo con poco, o forse no, semplicemente in modo diverso.

Lui è DEMONIO e, a differenza di quanto tu ti possa aspettare leggendo il suo nick, questo non ha niente a che vedere, insomma, è una persona come tutte le altre con un nick fuori dal comune.

Ora.

Qualche giorno fa mi sono trovata a leggere e riflettere su di un altro problema.

Insomma, le opere d’arte con un valore certo, che fine fanno? Si possono reinventare e se sì, come? La persona che mi ha fatto nascere questo dubbio è l’autrice di questo blog squarci di silenzio.

Insomma.

Come spesso penso, nulla accade per caso.

Prima mi trovo a pensare ad un’opera d’arte e poi leggo come un uomo, che è stato bambino abbia reinventato un ferro da stiro, insomma un artista bambino!

Da parte mia, anche io da piccola, mi dilettavo in inventiva e creazioni.

Salvo poi non avere forza sufficiente per legare il nastro, piuttosto che stringere la chiave, poi sono cresciuta, mi sono accorta di essere una femmina e mi sono fatta una ragione piegandomi alla mia incapacità nel bricolage e lasciando fare agli uomini, sotto la mia supervisione ovviamente!

Insomma.

Mi piacerebbe guardarmi in giro e notare che i bambini diventati adulti ricomincino ad applicare l’inventiva tipica dell’ infanzia.

Mi piacerebbe, ma forse resta un sogno.

Perché io probabilmente non sono ancora cresciuta, perché continuo a sognare come fanno i bambini.

CAZZOFIGACULO

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Immagine presa dal web

Io me la ricordo ancora la prima cinquina presa dritta sui denti presa da mia mamma ( nel senso che lei ha dato a me…).

Forse era in età scolare, forse no.

Me la ricordo come se fosse ieri, vabbè o l’altro ieri.

Salivo le scale per entrare in casa, seguita come un segugio alla scoperta del tartufo più grande da mia mamma quando.

Quando in preda ad un moto trasgressivo ho pronunciato la terzetta quasi senza respiro…Eh SBA-DA-BAM ( Mi sembra di rivivere la scena a rallentatore). Dritta, sui denti.

L’ho imparato a scuola, forse non sapevo il significato, ma a bassa voce erano in tanti a ripeterlo.

Poi crescendo le cinquine sono andate scemando come un’equazione inversa.

Io quelle parole le dico tutt’ora come allora.

Pronunciate una dietro l’altra, quando sono arrabbiata e quando mi capita.

Io le parolacce le dico spesso, ma quando dico CAZZOFIGACULO mi sembra di liberarmi da un peso.

Chissà perché sono le prime cose che si imparano, chissà perché sono le prime cose che non si dimenticano, come andare in bicicletta, una volta imparato non si dimentica.

Cadi, ti rialzi, sanguini, ma prima o poi riparti, cresci e con te la bicicletta, diventa sempre più grande, cambio shimano, manuale o da donna.

Ecco con le parolacce è la stessa cosa, cresci cambiano, si modificano, ma il senso resta sempre lo stesso, le dici sempre in quel momento lì, non ci sono CAZZI O MAZZI, È LA STESSA COSA, o forse no?