30 DAYS WRITING CHALLENGE 23

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Caro diario,

il compito di oggi è quello di scrivere una lettera a chiunque, anzi no, a qualcuno.

Ora.

Scrivere una lettera ad una persona, cara o scontata (scusa il gioco di parole, ma era lì su di un piatto d’argento…) sarebbe facile, o forse no, dovrei scegliere a chi scrivere, cosa scrivere e perché farlo.

Tu, caro diario lo sai, io scrivo quando voglio e faccio fatica ad esprimere sentimenti. Lo sai che mi porto una corazza e no, non ho intenzione di scrivere ad alcuno.

Che poi, scrivere a chiunque o a qualcuno, insomma, sono due cose completamente opposte, mica è facile poter, dover scegliere, ecco che mediocre come spesso mi capita scelgo di non decidere.

Sto, lo sai, o almeno dovresti saperlo, attraversando un periodo difficile, il lavoro che va così e così, la singletudine che va così e così, insomma se voglio rispettare il mood sono in fase #maiunagioia ma tu lo sai no?

Io, mi sono sempre rialzata, io trovo e troverò sempre un motivo (magari se non è buono lo deciderò a posteriori) per rialzarmi.

Lo sai no? vivo alla perenne ricerca di qualcosa di bello, divertente, innovativo.

Insomma, mi sa che, anzi credo che riuscirò a realizzare tutti i desideri che tengo ben custoditi.

Tu lo sai, no?

Grazie caro diario per aver, ancora una volta, ascoltato tutte le mie pantomime e per aver colto tra le righe cosa mi serve, cosa mi manca, cosa voglio e cosa raggiungerò.

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IL TOPO SQUITTISCE

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Sarà anche bella questa globalizzazione.

Saremo anche i figli del futuro, ma a me certe situazioni lasciano un poco sconvolta, poi mi riprendo eh, ma il momento in cui assimilo l’informazione e quella in cui la elaboro ha un non so che di onirico.

Mi spiego meglio.

Io al lavoro ci vado in macchina, lavoro a dieci minuti (a piedi) da casa, ma ci vado in macchina, perché si, non è questo il problema.

Parcheggio un po’ lontanino così faccio un po’ di movimento ma.

Ma.

C’è un ma, grande come una casa, e non intendo una casa di adesso, una prefabbricata che in venti metri quadrati hai tutto il necessaire, intendo una casa vera, una di quelle che se scegli di avere ospiti non devi uscire tu per far entrare loro, uno alla volta si intende, suvvia, un settanta metri quadri calpestabili.

Ecco.

Dicevo.

Per strada incontro un fottio di popolazione, e no, potrei scommetterci lo stipendio (magari non il mio) che non c’è mezzo italiano.

Ieri.

Ieri mattina, che già dire io e mattina è un problema, perché non sempre il diesel parte, comunque, ieri mattina mi è successa questa cosa.

Dopo aver parcheggiato, con il nervo scoperto per via di quelle simpaticissime mamme che accompagnano il figliol prodigo direttamente in classe, in macchina intendo, ecco che un mulatto (si dice così?), non era proprio nero, era marroncino chiaro, con sguardo seducente, almeno credo che volesse fare questo sguardo, mi dice, o meglio, parla e guarda me:

“Ciao Bela.”

Ora.

Di insulti ne ho ricevuti tanti, altri ne riceverò, ma pecora di prima mattina ancora nessuno me l’aveva detto.

Ora.

Considerando che il nervo era già scoperto, ecco che mi giro, con un agile scatto che neanche un gatto in caduta libera dal settimo piano…comunque mi giro e gli dico:

“Pecora?!? A me?!? Ma vaffanculo va!”

Niente.

Potevo essere molto più colorita.

Potevo essere molto più originale.

Ma è mattina e niente, non sono ancora completamente attiva.

La collega che ha assistito alla scena dalla porta dell’ ufficio mi dice che lui povero, mi stava facendo un complimento.

Eh no.

L’ho capito dopo.

Ora.

A me questi atteggiamenti danno fastidio.

A me queste cose mi irritano, ecco che mi sono fermata a pensare che no, il rispetto dovrebbe essere internazionale e non intendo il rispetto per il popolo, intendo proprio il rispetto della persona.

Insomma, non è che mi puoi dare della pecora così aggratis! No?