PILLOLE DI FELICITà:PANORAMA ED INCOMBENZE

danube-1227495_960_720.jpg

Episodio 19: scritto in collaborazione con NEOGRIGIO

Il direttore era stato sintetico ma chiaro. Lucia aveva subito capito cosa voleva da lei, e aveva anche capito quanto fosse pragmatico, sarebbe stato meglio tenerlo a mente.

“Adesso vada, buon lavoro.”

Il primo ostacolo era stato superato per fortuna, adesso poteva tuffarsi nel nuovo lavoro. Un sospiro di sollievo l’accompagnò uscendo dall’ufficio.

“Non farci caso, sembra burbero ma è come un padre per tutti noi dipendenti, lo scoprirai anche tu.” Disse la segretaria incaricata di accompagnarla nel suo nuovo ufficio.

“Vedremo!” rispose mentalmente Lucia. “Certo, del resto è il suo ruolo…” Furono invece le parole che pronunciò.

“Eccoci arrivate.”

“Questo?” Lucia non riuscì a nascondere la sua delusione. In Italia aveva lasciato un ufficio spazioso che condivideva con una sola collega, Carla. Non si immaginava di certo di trovare un open-space. La segretaria le indicò la sua scrivania, poi salutò, girò i tacchi e tornò alla sua postazione.

La sua postazione era la più spaziosa, posizionata un po’ in disparte, sembrava la cattedra dell’insegnante in un aula scolastica. Era questo che dimostrava che fosse la responsabile dell’ufficio.

Lucia restò ferma dinanzi la porta a vetri, indecisa se entrare o meno. Di fronte a lei lo scenario era da Apocalisse, una confusione bestiale tra tutti quei colloqui telefonici che si sovrapponevano e le confidenze che si scambiavano i vicini di postazione senza per questo interrompere il loro lavoro. Mostravano tutti una tale disinvoltura da far paura. Che avrebbe potuto insegnargli lei?

In mezzo a quel caos Lucia aveva subito avvistato la sua ancora di salvezza, una grande finestra lunga qualche metro che regalava un panorama splendido: il Danubio, il castello di Buda, il bastione dei pescatori, la cittadella. Da mozzare il fiato.

Bene. Ora doveva organizzarsi e iniziare a mostrare di che pasta era fatta.

Raccolse dal bagno una quantità spropositata di carta igienica e prelevò, ma solo in prestito, un detergente che non sapeva se fosse tale, ovviamente non conosceva la lingua ed era inutile applicarsi sulle didascalie del carrello delle pulizie. Il colore era vivace e la profumazione gradevole, si! Doveva essere il detergente per le scrivanie!

Entrò così in ufficio e tutti quelli che poterono si alzarono in piedi come segno di saluto, per poi risedersi ad un esplicito cenno di Lucia, come a dirgli “continuate pure ci conosceremo tra un po”.

Riuscì in men che non si dica a pulire e personalizzare la sua postazione di lavoro. Ora si che poteva ricominciare! Che fare come prima cosa? Aveva appena finito il pensiero che il suo telefono cominciò a squillare. Interferenze. “Nel ggrrrrr gggrrr …cio. Tra d…eci mi grrrrr.” Andò per ipotesi, del resto era molto brava a viaggiare con la fantasia, più di una volta si era convinta che lei e solo lei detenesse il record mondiale di viaggi mentali. Era in quello stabile da meno di quattro ore e stava per avere il secondo incontro ravvicinato con l’arpia. Oramai l’aveva soprannominato così.

“Permesso? Posso entrare?”

“Signora Saetta, si accomodi.”

“Questo pomeriggio avremo un incontro formale con un nuovo cliente. E’ un primario molto in vista, qui a Budapest. Ci ha chiesto di ridisegnare tutto il profilo ospedaliero compreso il logo ed i camici dei dipendenti. Alle 15.00 ci troveremo nella sala azzurra, si faccia spiegare dov’è da Monica. Mi raccomando puntuale, beh, ha qualche ora per abbozzare qualcosa, chieda ai suoi colleghi, loro hanno già informazioni sul cliente, li ha già conosciuti? E’ il suo capitale umano, sarà sua cura far uscire da loro il meglio”

Uscendo Lucia si recò verso la distributrice automatica. Zuccheri! Cibo! Aveva bisogno di cibo! Come diavolo faceva adesso? Era appena arrivata e aveva già una scadenza così repentina.

Ora però almeno sapeva cosa avrebbe dovuto fare prima. Entrò in ufficio e passando tra le varie scrivanie per arrivare alla sua cercò di capire chi potesse essere tra quelli il suo referente. Eccolo, potrebbe essere lui, distinto, serio, professionale…riuscì a sbirciarne il nome dal cartellino, Matòs”

Si sedette. Riprese in mano un elenco trovato prima nel secondo cassetto. Era la lista dei dipendenti di quell’ufficio. Cercò tra le righe…Matòs…Matòs…eccolo! Matòs Weisz!

Si alzò col foglio in mano, e dopo aver attirato l’attenzione di tutti chiamò: “Weisz”, sperando dentro di se che parlasse italiano.

“Si, sono io” rispose, in un italiano scolastico. Lucia ne fu sollevata e affascinata.

Pubblicità

ITALIANO STRESSATO

pizza-329523_960_720.jpg

Pixabay

Ieri parlavo con una conoscente, che poi non è conoscente, cioè si ci conosciamo ma è quel rapporto che, non ti dai del Lei perché sei un po’ oltre, ma non così tanto oltre da parlare dell’ultimo ciclo doloroso, come la ragazza nella pubblicità. Hai presente? Ma quanto imbarazzo?

Comunque, dicevo.

Parlavo con questa insomma quasi conoscente.

Parlavamo del più e del meno.

Ad un certo punto Lei è saltata fuori con una frase ad effetto che, se fossimo state in un cartone animato, sarebbero partiti fuochi d’artificio e vignette sorprendenti.

Ma eravamo nella vita reale, e nulla di tutto questo si è palesato all’orizzonte, e nemmeno all’ improvviso.

L’unica faccia stupita, bocca aperta, era la mia.

Io sono per natura, una persona istintiva.

Nel senso.

Quando mi dici una michiata io rido con te, attenzione non di te, ma con te.

Spesso mi rendo conto che butto tutto o quasi sul ridere, sul divertente, perché dai cazzo!Facciamocela una risata.

Comunque, dicevo.

Parlavo con questa persona e niente.

La frase d’effetto che ha fatto partire la mia mente verso altri lidi è stata:

“Perché tu quando sei stressata, cosa fai? Dai non mi dire che ti siedi per terra incroci gambe e braccia e ti metti a fare versi che neanche l’ultimo dei cani castrato potrebbe fare.”

No.

A parte che se sono stressata è perché ho cinquecentomilamillissime cose da fare, e viene da sé che non ho tempo per fare OMM OMM.

E poi pensavo.

Per me dire che “vai a fare Yoga” piuttosto che qualsiasi altra cosa orientale perché sei stressata è una cagata pazzesca (passatemi il termine).

Ora.

L’italiano è per me, ( e sì sono di parte, ma sì ci credo davvero) una bellissima lingua.

L’italiano nasconde insidie insidiose, ma allo stesso tempo ti permette di riportare un concetto preciso senza essere troppo vaga.

Quindi.

Piuttosto che dirmi che vai a fare Yoga perché sei stressata, perché hai troppe cose da fare, perché non hai mai tempo per chissà cosa, dimmi che vai a fare Yoga perché ti piace, perché pare ti aiuti a rilassarti, e no, non è necessario essere stressati per farlo.

Io questa cosa non la capisco.

Perché ci dev’essere sempre una giustificazione in qualcosa che si fa?

Tu fai Yoga? E allora non avere paura o timore di dirlo. Tranquilla! Non ti affronterò come un leone in gabbia, non ti farò innervosire, non ti causerò nessuno squilibrio interiore che ti porterà a chiuderti in casa a gambe incrociate a fare OMM OMM.

Tranquilla, detto qui tra me e te, a me non me ne può fregare di meno, anche perché sto ancora immaginando la vignetta, chissà come sono “da disegnata!”.