PILLOLE DI FELICITA’: LA CITTA’ DEL SOLE

 

Ed eccoci alla nuova puntata della collaborazione a quattro mani con NEOGRIGIO

Gli episodi precedenti li puoi trovare

Episodio 1 QUI o QUI

Episodio 2 QUI o QUI

Episodio 3 QUI o QUI

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EPISODIO 4

Lucia fu subito entusiasta di quella sua nuova realtà. La città era per lei un nuovo fantastico mondo da esplorare, e malgrado la voglia matta di scoprire da subito tutte le sue delizie si rendeva conto che forse era meglio non affrettare le cose cercando di gustarsi al massimo ogni piccolo nuovo particolare che scopriva giorno per giorno.

La zia le fece trovare una piccola scatola di scarpe abbellita con della carta regalo.

* Zia, e questa?cos’è?

* È per te, da oggi inizierai una nuova fase della tua vita, dentro questa scatola metterai i ricordi e tutto ciò che ti tiene legata al paese, non puoi andare avanti se prima non archivi il tuo passato.

Era strana la zia, aveva un modo tutto suo per tenere a bada la nostalgia, non per niente era sempre stata definita la più stravagante della famiglia.

* Vedrai, quando ti coglierà sarai impreparata, io ho fatto così per superare la voglia di tornare indietro e con me ha funzionato, funzionerà anche con te, ne sono sicura.

Lucia, anche se titubante, prese la scatola ed andò in camera sua, più per far contenta la zia che per convinzione personale decise di ascoltare il consiglio, scelse con cura il nascondiglio e cosa metterci dentro. Frugò nel portafoglio e pescò il post-it di Marco, lo guardò un attimo con aria riflessiva e pensò che poteva essere quello il primo ricordo della scatola, così, più facilmente di quanto avesse mai pensato, lo ripose dentro.

Erano passati solo due giorni.

Sistemò i vestiti e scelse di andare a fare una passeggiata, sembrava una bella giornata, tra quelle mura grigie e quegli alti palazzoni di città pareva intravedere un cielo azzurro, avrebbe sicuramente trovato un parco dove fare quattro passi, la scuola sarebbe iniziata l’indomani.

Riuscì presto a fare amicizia, soprattutto con i ragazzi del quartiere suoi coetanei e compagni di classe, del resto aveva sempre legato facilmente con l’altro sesso, e poi le sue nuove compagne erano così snob, quasi insopportabili. Correvano e si divertivano, non la discriminavano se a scuola arrivava con delle semplici scarpe da ginnastica e se il sabato sera non indossava i tacchi.

Poco a poco però il suo carisma venne fuori anche tra le ragazze riuscendo a conquistarsi la loro amicizia o quantomeno il rispetto di molte che adesso non la vedevano più come la “campagnola con i jeans da maschio”. Anche Lucia però col passare del tempo cambiò, trasformandosi poco a poco in una tipica ragazza di città, con i suoi vestiti alla moda, le uscite con le amiche, le confidenze a denti stretti. A volte, ripensando ai vecchi tempi delle medie, si rendeva conto di essere cambiata tanto, di essersi trasformata in una di quelle tipiche ragazze che aveva sempre disprezzato, ma non si commiserava per questo, lo considerava il naturale processo di crescita, il passaggio verso l’età adulta.

A Marco invece non ci aveva più pensato, ormai anche gli sms tra di loro si facevano molto più rari e pieni di parole di circostanza. Lucia non lo avvisava nemmeno più quando riusciva a scendere in paese nei weekend, occasioni ormai davvero remote visto che anche i suoi genitori si erano trasferiti in città con la promozione del padre ed il suo conseguente trasferimento alla sede centrale.

Gli anni del liceo passarono tranquilli, felici, pieni di soddisfazioni. I voti a scuola erano ottimi, si era ormai perfettamente ambientata e aveva molti amici. Frequentava corsi di teatro, praticava la pallavolo a discreti livelli in una delle squadre giovanili della città, e poi il cinema, lo shopping con le amiche, che adesso, non poteva crederci, le chiedevano numerosi consigli su come vestirsi, un paio di amori passeggeri, molti pretendenti respinti.

Talvolta faceva capolino un po’ di malinconia, in quei casi scriveva su di un diario tutto ciò che pensava, altre volte invece stava seduta su di una panchina al parco a rileggere ciò che aveva scritto in quei momenti, preferiva leggere le pagine più belle, quelle piene di speranze, sarebbe diventata una grande stilista di moda, era sempre stato quello il suo sogno, almeno in una cosa non era cambiata.

Le superiori stavano volgendo al termine e per Lucia era giunto l’anno della maturità.

Non era ancora iniziato quando lei e i suoi amici decisero, con il consenso dei genitori, di partire per una vacanza subito dopo la fine degli esami, ma dopo l’eccitazione del momento non ci pensarono più molto, l’impegno nello studio si presentava davvero importante ed il pensiero andava spesso al futuro, all’università, a quale facoltà iscriversi.

Era in un parchetto dietro ai palazzi del suo quartiere quando ebbe l’idea di cosa portare come tesina per l’orale, stava leggendo il suo diario e pensò che alla maturità avrebbe potuto portare argomenti che la rappresentassero, lei che arrivava da un piccolo paese ma che sognava di diventare qualcuno di importante. Scelse quindi come argomento principale della sua tesina “Il sole”, il bel sole della sua terra, lo stesso sole sotto il quale si era divertita tutta l’infanzia a correre e giocare per i campi del suo piccolo paese con Marco e gli altri amici, il sole, così importante per i buoni raccolti nei campi, raccolti a cui spesso aveva partecipato con gioia. Il sole le dava anche diversi sbocchi per le altre materie, dai celebri Re francesi, e quindi lo stile architettonico di palazzi come Versailles, alla scissione nucleare, dalla teoria eliocentrica copernicana a “La città del Sole” l’opera filosofica del frate domenicano Campanella.

Buttando giù gli argomenti fu improvvisamente colta da un attimo di nostalgia e per la prima volta dopo molto tempo ripensò a Marco, chissà cosa stava facendo adesso? Chissà se anche lui era cambiato, così come era cambiata lei. Si riprese quasi subito però, non poteva perdere la concentrazione, non adesso.

L’esame fu un successo. Il Presidente della Commissione cercò di verificare la sua ostentata sicurezza chiedendole di parlare della guerra civile spagnola e della figura del generale Franco, una domanda di solito difficile, Lucia però adorava la Spagna e la sua storia, non per niente il famoso viaggio che sarebbe iniziato tra qualche giorno sarebbe stato proprio un tour dell’Andalusia.

Non poteva finire in modo migliore, il massimo dei voti e le porte spalancate su un radioso futuro.

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#BRAVA A ME

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Questa mattina alla radio mi sono fatta una cultura sui gusti sessuali dei giovani del giorno d’oggi.

Ora.

Oltre alle milf ed alle cougar hanno inventato una nuova categoria di Agè che si divertono con il toyboy di turno, loro sono le Sugar mummy.

Ora.

Non chiedetemi nello specifico cosa si intenda con questa definizione perché non mi è molto chiaro, nel senso, alla radio hanno dato una definizione, ma io non l’ho capita, e quindi non la riporto.

In ogni caso vorrei spostare l’ attenzione su altro.

Si dice che i GIOVANI D’OGGI si rivolgano a figure (sessualmente parlando) più grandi ed esperte perché queste sono:

– Indipendenti
– Dove le metti stanno
– Meno esigenti

Ora.

Premesso che io non mi sento di appartenere a nessuna di queste categorie, per intenderci non ho più vent’anni e non sono una milf.

La cosa che non capisco è perché i GIOVANI D’GGI scelgano di confrontarsi con categorie tanto diverse per poi uscirne con le ossa rotta.

E’ cosa nota che il maschio matura dopo rispetto alla femmina, quindi andare a cercare una Donna (eh si! Deve essere Donna con la D maiuscola) più grande è un po’ da “mi faccio male da solo”, è scontato che ne uscirete con le ossa spappolate…

Poi, dicono che.

La scelgono più grande perché “quelle grandi” sono meno esigenti.

Ora.

Pare che la motivazione a questa cosa sia, non posso essere esigente con un ragazzino che fuorché giocare con la play e sistemarsi i capelli non sa fare, cosa posso pretendere? La prolunga per la play? Anche no, grazie.

Dove le metti stanno.

E qui avrei una valangata di insulti da anteporre a chi questa lista l’ha compilata chiedendo a maschi ( o presunti tali) le caratteristiche. Ma evito.

Ora.

Io non mi riconosco in nessuna categoria, perché:

– Sono indipendente e non me ne può fregare di meno della TUA macchina, del TUO lavoro del Tuo ecc.ecc.. a me interessa il mio, è quando tu sei interessato al MIO che le cose non vanno bene.

– Dove mi metti… Ecco, non essendo un peso piuma fatichi a mettermi da qualche parte, in ogni caso, un calcio è sempre pronto a portata di mano.

– Meno esigente. Sono esigente con me stessa non con gli altri, non pretendo nulla per evitare di essere delusa, ancora una volta.

Concludo dicendo.

Io mi costruisco la mia storia, la mia zavorra, la mia autostima e la mia Happiness da sola.

Non voglio dipendere da nessuno perché solo così posso essere orgogliosa di me stessa e non dover dire per forza di cose grazie a qualcuno!

#BRAVAAME!

SCRITTO A MANO #17

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LA RUBRICA SPAGNOLEGGIANTE #13

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Una storia come tante.

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Matteo.
Matteo ha 13 anni, 2 mesi e 29 giorni.
Ogni mattina il suo orologio Casio, regalatogli dallo zio paterno al compleanno, suona alle 6:45 precise. Il tempo per lui è importante. Una cosa che lo fa star bene, sapere sempre – precisamente – che ore sono.
Si alza, lava i denti, con metodo, aziona il cronometro, 120 secondi è il tempo che passa  a frizionare lo spazzolino comprato il primo giorno del mese, ogni mese ne usa uno, è una sua fissa, ma l’igiene orale per lui è importante, insieme alla puntualità è un’altra cosa che lo fa sentire bene.
A dir il vero, Matteo fa tutto con metodo.
Poi la colazione. Ogni due sorsi un morso al biscotto, cioccolato bianco e nocciole, sono gli ultimi rimasti fatti dalla nonna, manca poco alla prossima visita, una rapida occhiata al calendario appeso alla parete sopra il tavolo della cucina gli ricorda che la prossima domenica andranno a trovarla, così potrà far man bassa di dolci.
Ore, 7:25, torna in camera, uno sguardo all’armadio, i vestiti sono pronti sul letto fatto, è passata la mamma mentre lui faceva colazione. Si veste, jeans e maglietta, scende in salotto, indossa le scarpe con gli strappi, detesta le scarpe con i lacci, detesta le corde in generale.
Ore 7:35 in macchina, allaccia la cintura solo dopo aver posizionato lo zaino sul sedile posteriore, è diventato grande, adesso può stare seduto sul sedile davanti, vicino alla mamma, sul sedile che solitamente è destinato a lei, soprattutto durante la terza domenica del mese, quando tutta la famiglia va a trovare la nonna materna.
E’ ora di partire, la mamma lo accompagna a scuola.
Lui sa che è così da sempre.
Si sente protetto in queste abitudini consolidate, nulla può essere fuori posto, pena una crisi isterica.
Ore 07:55 la mamma si ferma davanti alla scuola, nello spazio bianco, dietro a quello dei disabili.
Matteo scende dalla macchina, con calma scarica lo zaino e si avvia verso l’ ingresso, chiude la portiera, si gira, un cenno di saluto alla mamma e s’incammina.
Matteo vede il mondo intorno a se in maniera sfocata, come se fosse un mondo animato dai rumori. Eppure quel giorno le pupille si dilatarono come diaframmi di un obiettivo. Lei è Gloria.
Qualcosa sta destabilizzando l’ equilibrio

-Ciao Matteo, buongiorno! Ehi Matteo! aspettami.
Matteo continua a camminare verso l’ ingresso, si sta irrigidendo, qualcosa nel suo schema mentale è andato storto, ma è una sensazione rispetto a quando cade una posata a tavola, rispetto a quando inciampa nelle stringhe di suo fratello, rispetto a quando trova il bagno occupato, la sera dopo cena. E’ una sensazione strana diversa.

-Ciao Matteo, perché non mi hai aspettata?
Lucrezia, l’insegnante di sostegno, gli prende la mano, Matteo alza per la prima volta nella giornata lo sguardo verso quella ragazzina, che nella ressa dell’ingresso le è di fianco, accenna un sorriso.
Rallenta il passo e si tranquillizza, entrano in classe insieme.
Lucrezia, Matteo e Gloria.

Ma Gloria non vede lui. Lei vede il mondo come un caleidoscopio a colori flou ed alla moda. I suoi ormoni scalpitano e ha voglia di sorrisi. Di sorrisi e di occhiate. Quelli dei ragazzi più grandi. Matteo le passa accanto, come un fantasma. Lui ben attento al suo spazio personale. E l’unica persona che può attraversarlo è Gloria. Invece sente la mano dell’insegnante di sostegno che lo prende e lo porta fuori, per le attività della giornata.

Poi Matteo inizia a sentire l’ansia che l’attanaglia, che gli stringe il cuore, non riesce più a controllarsi. Il rumore degli altri ragazzi lo atterrisce. Inizia a gridare, vuole correre, scappare via dall’ansia. L’insegnante lo trattiene stringendogli un braccio con molta forza, Matteo si dimena ma non riesce a liberarsi da questa morsa.
Matteo non sente quel che dice l’insegnante. Sente solo il suo cuore sotto pressione. Come un cavallo che corre nell’anima.

Passano le ore, veloci e vuote per alcuni, dense di informazioni per altri. Matteo è molto agitato, muove gli occhi tra l’insegnante e l’orologio. Se il tempo scorre vuol dire che tutto va bene. Sarebbe un disastro vivere senza la sicurezza che passa. Nel mentre sente la voce di Gloria:
– Che c’hai paura di far tardi che guardi sempre l’ora?
Matteo è sorpreso. Una cosa inaspettata. Inizia a chiudersi nel suo silenzio anche se non vorrebbe. Ma l’ansia ritorna, come un uomo nero. Non dice nulla.
L’ansia è evidente perché inizia a giocherellare con le mani e a muovere le gambe. L’insegnante cerca di tranquillizzarlo, ma nel farlo lo urta inavvertitamente, un piccolo gesto che scatena la sua ira.
Lancia tutto ciò che trova sul tavolo, pensa di farlo, ma esteriormente non lo fa.
Gloria insiste, inconsapevole di essere la causa-effetto di quella reazione che Matteo non riesce più a trattenere:
– Che sei muto? Ma mi senti?
Matteo non riesce più a guardarla, inizia a tremare sempre più forte.
Arriva un altro ragazzo e Gloria vola via.
Come volano via le farfalle.
Leggere che volano e poi battono contro i vetri.
Matteo vorrebbe dirle di fare attenzione. Che quel ragazzo è un altro vetro. Invisibile e per questo più pericoloso. I muri si vedono. Quel che pensano le persone no. I pensieri son come vetri, che ci possono tagliare.

Matteo resta da solo. Come quando sta da solo a casa per tanto tempo. Allora lui guarda l’orologio perché sa che il mondo non si è fermato. Anche se il mondo gli parla lui non puoi ascoltarlo. Può solo leggere dai cristalli liquidi del suo orologio che ore sono.
Allora chiude gli occhi e si mette col viso a terra.
Il pavimento è freddo. Lui immagina che è una farfalla che vola nel vento. Vola da Gloria.
Quello era il giorno più bello. Un giorno come gli altri. Ma la farfalla chiamata Gloria aveva parlato con lui, con chi è inutile parlare. E lui ora era una farfalla.
I bambini autistici sono come bruchi. Possono essere farfalle solo per chi li sa ascoltare. Solo per chi si accorge di loro. Di queste silenziose crisalidi.
Siamo falene attratte dalla luce. Tutto quel che brilla ci attrae.
La sera, al rientro, la madre ha una lettera da parte della scuola. A cena Matteo comprende che l’Istituto ha convocato la madre per delle comunicazioni.
Ma il suo chiodo fisso resta Gloria. Canticchia il motivo della canzone omonima di Tozzi e la mamma gli mette in playlist sul pc di casa proprio quella canzone. Le note sono emozioni. Matteo si sente eccitato e corre cantando. E’ felice. La mamma lo ha visto poche volte così. Sorride appesa ad una lacrima. Canta anche lei.
Tutta la notte Matteo si sente una farfalla che vola incontro a Gloria. La felicità è semplice quando il cuore si schiude.